DOMENICA V T.O. ANNO B
Nell’Antico Testamento, Giobbe rappresenta il testo più alto sul mistero del male e il mistero di Dio. Allo stesso tempo ci mostra come nella sua grandissima tribolazione Giobbe non smette di dialogare con Dio. Non si arrende ad una spiegazione facilona come fanno i suoi amici, lui sa che nel suo patire si cela un mistero e per questo chiede ragioni a Dio e gli ricorda che la vita umana è un soffio (ricorrerà questo tema nel salterio). Certamente siamo davanti ad un grandissimo mistero, il mistero del male non voluto ma tollerato da Dio. Il mistero dell’iniquità. Allora, come si risolve la disequazione tra la perfezione di Dio Onnipotente, la sua misericordia e la sofferenza degli innocenti? Com’è possibile unire queste tre fatti? Quest’apparente paradosso aveva angosciato per tanti anni la filosofa ebrea Simone Weil. Finalmente, Simone capì che quella disequazione aveva solo soluzione in Cristo. Lo capì quando per la prima volta nella sua vita, essendo di fronte al tabernacolo alla Basilica di San Francesco ad Assisi, sentì una forza che la spingeva a inginocchiarsi in gesto adorante.
Contemplare Cristo non è soltanto ricevere la risposta all’enigma della sofferenza ma anche ricevere guarigione e pace. Gesù è l’Innocente sopra ogni innocente e condivide la sofferenza di ogni uomo, diventando pane perché dalla nostra povera fede possiamo raggiungerlo. Gesù si è fatto Pane di Vita per noi, per nutrirci e rimanere con noi tutti i giorni.
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