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Adorazione eucaristica (16°)

tratto dal libro “Adorazione” di P. Serafino Tognetti

continua…

La lode diventa vita

Soltanto a vedere come quest’uomo pregava, la gente voleva andare a vivere con lui. Fu costretto a creare il Terz’Ordine Francescano perché si accorse che lo seguivano uomini e donne sposati. Egli obiettava: “Mi dispiace, non potete venire a farvi frati, avete famiglia!”. “Ma noi vogliamo seguirti!”. Fondò così la prima famiglia laicale della storia, col nome de “L’Ordine dei Penitenti”. I primi due terziari furono due di Poggibonsi (paese tra Siena e Firenze), Lucchese e Bonadonna, che divennero poi santi.

Ci fosse oggi un san Francesco! Ma, mi domando, perché non posso esserlo io? Non vogliamo scimmiottare nessuno, perché il carisma di san Francesco è anche particolare, ma quello che egli ci insegna è che possiamo tutti fare esperienza di Cristo nella preghiera. Dobbiamo pregare lo Spirito Santo perché vogliamo fare l’esperienza di Gesù, come e più di san Francesco. Mi piacerebbe vivere quell’amore, quella lode, quella supplica, quell’essere proiettato verso l’alto, verso il Padre… Anche Francesco era figlio di Adamo ed Eva, come sono io. Cosa mi manca? Probabilmente la sua fede.

L’atto in cui termina la sua vita religiosa, in cui la vita religiosa di Francesco ha il

suo compimento – continua il nostro don Divo Barsotti – è veramente rendere Dio a Dio in Dio, offrire il Figlio al Padre nello Spirito Santo. La vita di Francesco, come la vita di tutta la Chiesa è dunque l’offerta del Figlio al Padre, ed egli lo può offrire nella misura che lo ha ricevuto[1]. Tutto questo avviene soprattutto nella Messa. Io ricevo il Figlio e lo ridono al Padre nel rendimento di grazie.

Dopo la Messa, c’è il seguito, cioè la giornata che si sviluppa, e il tempo dopo la Messa è il proseguimento della Messa stessa, la continua lode a Dio nell’esercizio della mia quotidianità. Lodo Dio nel servire i fratelli, nel lavorare, nell’amare il mio prossimo.

Il senso di questa preghiera

Per Francesco c’è quasi solo la lode. Mi chiederete allora che ne è della preghiera di domanda “Bussate e troverete, chiedete e vi sarà dato” (Lc 11,9). La preghiera di Francesco è la vera anticipazione della preghiera eterna che faremo in Paradiso. In Paradiso pregheremo “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”? No, non ci sarà più bisogno di pane. “Rimetti a noi i nostri debiti”, quali debiti? Quelli di quand’eri in vita? Guarda che sei in Paradiso, sono già rimessi. “Come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Non avremo più debitori. Se poi arriverò là e mi smentiranno, ve lo verrò a dire quando sarò morto. Ma non credo che in Paradiso diremo il Padre nostro. Adesso dobbiamo chiedere tutto, anche il pane; in Paradiso, il nostro rapporto con il Padre sarà la preghiera del Figlio. Quindi la preghiera di lode è un’anticipazione del Paradiso.

La preghiera di supplica è per i viatori, per noi che siamo ancora in cammino e peccatori, ma quando prego con la lode “Tu sei santo, Tu sei grande, Tu sei altissimo…”, io faccio la preghiera del Paradiso. Mentre prego vado in Cielo, anche se poi dovrò presto tornare in terra.

La lode prepara e anticipa la vita futura. Qui in terra una preghiera così pura è quasi impossibile, perché non siamo ancora liberi da tante passioni (anche i santi), ma san Francesco già ci dice, con la sua preghiera, cosa sarà la vita del Cielo. Francesco è un santo che con la sua esistenza, più di altri ci parla del Paradiso. È difficile parlare del Paradiso; dobbiamo sempre usare tante immagini e anche un poeta come Dante non è riuscito più di tanto a farci capire come in realtà sarà la vita nella beatitudine eterna. Cosa faremo, di fatto, in Paradiso? Ebbene, la vita di san Francesco è l’esultanza continua della creazione che viene riportata e consegnata continuamente al Padre nella lode. Tale afflato ha una potenza straordinaria: tutto viene compreso in questa donazione, anche la morte corporale.

Se non sarà possibile vivere tutto questo fin da ora, siamo però in cammino. In Paradiso l’anima non vive che di Dio, non può ripiegarsi su di sé, perché qualsiasi ripiegamento sarebbe come un sottrarsi alla visione, alla pienezza di Colui che è. In Paradiso l’uomo non può avere un pensiero su di sé.

“Dice santa Caterina da Genova: «L’anima appena passa da questo mondo al cielo, in un attimo senza tempo vede se stessa per discendere nel purgatorio o precipitare nell’inferno, ma se entra in Paradiso, una volta giunta alla divina presenza, nella luce di Dio ella si eclissa e non ha più la possibilità di ricordarsi di sé, talmente sarà presa, rapita, per sempre dalla bellezza infinita»”[2]. Che meraviglia! Commenta don Divo: “Non è che la visione divina distrugga l’essere creato: ontologicamente l’essere creato sussiste, noi siamo immortali; ma psicologicamente [l’ingresso in Paradiso nda] avverrà come una devastazione, la creatura non vivrà che la vita di Dio. Dio solo vivrà, Egli rimarrà l’atto e il contenuto della vita di tutti i beati”[3].

“Ma l’amore puro l’uomo potrà viverlo quando, giunto alla trasformazione in Dio, egli non sarà più cosciente nemmeno di se stesso di una conoscenza riflessa. (…) L’unione trasformante implica come un perdere la coscienza riflessa di noi stessi per immergersi in un oblio totale[4]. La bellezza divina ci rapirà totalmente e l’uomo sarà irresistibilmente attratto dalla bellezza di Dio. Padre Barsotti parla di devastazione, santa Caterina invece dice che l’anima si eclissa e non ha più possibilità di ricordarsi di sé.

Altissimo Signore

Tutto il guaio nostro è che ci ricordiamo troppo di noi stessi. Ci viene incontro, allora, per aiutarci, san Francesco, che non si considera e non si valuta. Se avessero lodato o anche rimproverato san Francesco per la sua estrema povertà, egli si sarebbe meravigliato: “Io non sono affatto povero – avrebbe obiettato – sono ricco!”.

Chi ha Dio, infatti, ha tutto. Noi usiamo dire “il poverello di Assisi”, ma potremmo cambiare chiamandolo “il ricco di Assisi”. Francesco non è il patrono dell’ecologia, dell’ambiente, non era nemmeno un animalista. Non gl’interessava nulla l’ecologia, gl’interessava Dio. L’erba, l’acqua, l’albero, gli agnelli e le rondini erano creature che gli parlavano di Dio. Non è facile far passare l’idea che Francesco non fosse un pacifista… ormai è entrato nel pensiero comune. Il pensiero di san Francesco era la gloria del Padre. Era così “pacifista” che gli piacevano le crociate e andò addirittura in Terrasanta con i crociati. Non vi andò con la spada, ma si recò a Gerusalemme per cercare di convertire il feroce sultano arabo, il quale rimase ammirato dalla forza e convinzione con cui quest’uomo lodava Dio. Il santo di Assisi era pronto ad essere martirizzato, ma il sultano lo lasciò in vita, proprio per il senso di ammirazione che l’assisano gli procurò.

Francesco aveva un pensiero unico: la grandezza di Dio, soprattutto il Padre. Noi ci rivolgiamo più istintivamente a Gesù, perché è Dio fatto uomo e abbiamo in mente le sue parole e la sua morte in croce per noi. Poi ci rivolgiamo alla Madonna, a san Giuseppe, che fa tante grazie. Poi scendiamo la scala e incontriamo tutti i santi che intercedono. Vedete la differenza: Francesco prega il Padre perché è Gesù, in qualche modo. Noi preghiamo Gesù o i santi perché dobbiamo ancora arrivare a quella preghiera così pura.

È interessante a tal proposito un aneddoto di uno dei nostri confratelli sacerdoti monaci che andò un giorno a tenere una giornata di ritiro da alcune suore la cui fondatrice era Venerabile e si attendeva il miracolo per la beatificazione. Le suore naturalmente erano impegnate in quest’opera e si rivolgevano sovente alla propria Madre Fondatrice per ottenere delle Grazie. Quel giorno le suore erano preoccupate per la salute di una signora amica del monastero gravemente malata e si rivolgevano con grande fervore a padre Pio perché potesse ottenere la guarigione. “Perché non pregate la vostra venerabile? Avete bisogno di una sua grazia per il processo!” chiese il nostro sacerdote. Risposero: “Per certi miracoli ci vuole Padre Pio!”.

San Francesco ha certamente rivolto tante preghiere a Gesù, ma quando dice “Altissimo Onnipotente buon Signore” egli parla del Padre. Ma, come detto, non è lui: è Gesù che parla in lui. Noi dovremmo pregare le preghiere scritte da questo santo con riverenza, in ginocchio: è la preghiera di Gesù, umanizzata in Francesco. Noi sacerdoti viviamo questo nella Messa. La preghiera eucaristica inizia con le parole “Padre clementissimo…” (Canone romano). Il sacerdote in quel momento è Gesù, presta la voce a Lui perché in qualche modo è Lui che parla al Padre.

Non conosco altro santo che vada direttamente al Padre con tale potenza.

La vita del Cielo

Possiamo imparare da san Francesco e prepararci alla vita del Cielo sforzandoci in tutte le maniere di non ripiegarci su di noi, di non fissare tutto il pensiero sulla nostra vita. Gesù mi chiede di essere perfetto fin da ora, non di iniziare ad esserlo quando sarò (speriamo) in Paradiso. “Siate perfetti come è perfetto il Padre celeste” (Mt 5,48). Ci sembra una cosa impossibile, ma non è così.

Scrive C. S. Lewis: “Il Signore ci chiede di essere perfetti: Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste. Quando noi ci imbattiamo in questa frase, ci viene da dire che non è per noi, ma questa frase non è una chiacchiera, non è un’idea e non è nemmeno un ordine impossibile. Egli farà di noi delle creature capaci di obbedire a quest’ordine. È scritto nella Scrittura: Voi siete dei, ed Egli ha intenzione di tener fede a queste parole. Se glielo permettiamo, perché possiamo anche impedirglielo, Egli trasformerà la più ignobile delle creature di noi in un Dio, in una creatura abbagliante, radiosa, immortale, che pulsa tutta di un’energia, una gioia, una saggezza, un amore tale che noi ora non possiamo nemmeno immaginare”.

Ecco la vita del Cielo. Francesco loda il Padre perché vede l’uomo salvato come una creatura perfetta che pulsa gioia e amore. In Paradiso saremo proprio così: uomini e donne che espandono amore e luce, che non si guarderanno e non considereranno solo se stessi, come facciamo sempre noi in terra. Questo è il nostro punto d’arrivo. “Uno specchio limpido e immacolato – conclude Lewis – che rispecchia l’immagine di Dio, la sua potenza illimitata, la sua bontà e la sua gioia. Il processo sarà lungo e penoso, sarà doloroso, ma noi siamo destinati a questo e a niente di meno. Gesù parla sul serio”.

Se volete andare in Paradiso, preparatevi a quella vita, ad essere trasformati in lode al Padre. Ora siamo ancora in cammino di purificazione, ma guai se perdessimo di vista la meta. L’alpinista non può scalare la parete dolomitica se non ha sempre in mente il punto di arrivo, la cima della montagna, che per noi è la perfezione dell’amore in Paradiso. Come faccio a sopportare certe situazioni se non ho davanti agli occhi la vita del Cielo in cui sarò una creatura che pulsa amore, benevolenza e gioia? Qui in questa terra mi preparo, faccio tirocinio, ma io voglio quella vita, vita che il Signore mi ha promesso nell’Antico Testamento e data quando si è fatto uomo. Non vuole niente di meno.

Non riduciamo il cristianesimo all’essere buoni o all’essere decenti; fare qualche opera di pietà, ogni tanto… non è questo il cristianesimo; è ben di più: è la potenza che Dio ci comunica ed è la lode che trabocca dal cuore dell’uomo che la riceve.

La nostra vita sia dunque questa risposta d’amore. Non si riceve Dio per tenerlo per noi, ma nella lode perfetta al Padre, vivendo come san Francesco, convinceremo i fratelli che la vita divina è bella, piena. Allora verranno a noi.

All’età di 27 anni Divo Barsotti scrisse nel suo Diario: Tutta la vita è in questa fuga incontro a te (…) fuga in un deserto sempre più solitario e vuoto, che non è abbandono del mondo per una vita eremitica o la pace di un chiostro, ma è come il sibilo di una freccia che taglia l’aria per fermarsi vibrando nel bersaglio. Così l’anima non evita il mondo, ma lo passa, lo trapassa in un volo deciso, dritta al suo fine che è Dio[5].

La vita deve essere una freccia che va dritta verso Dio. Poche righe prima aveva scritto: Andiamo via, fuggiamo via o Gesù – andiamo lontano fintanto che non saremo indisturbati e soli[6].

Ma dove scappi? È il modo di dire, il linguaggio giovanile per esprimere un amore appassionato: “Voglio stare da solo con Te”. In vecchiaia il linguaggio cambiò, ma non la passione. Durante l’omelia del funerale di don Divo, il cardinale Ennio Antonelli disse che era stato a trovare il padre pochi giorni prima della morte, e questi gli aveva detto, tra le lacrime, che Gesù non era amato “dai suoi”.

A 27 anni il giovane dice a Gesù di voler vivere come una freccia e di voler scappare con Lui. A 92 anni piange perché sente che Gesù è poco amato. Diverso il modo, ma stesso l’amore: amore per Gesù, per tutta l’esistenza. Quest’uomo fu veramente un mistico che attraversò la propria esistenza parlando di Dio, gioendo, lottando, desiderando, sorridendo, piangendo.

Tutta la vita finisce in questo canto. Ci diamo appuntamento allora in Cielo. Diceva la beata Maria di Gesù Crocifisso (Miriam Baouardy): “Quando il sacerdote è all’altare come ostia pura, può chiedere tutto a Dio”. Io non sono ancora ostia pura, ma posso chiedere al Signore ci concederci di poterci incontrare tutti in Paradiso. Così verificheremo quanto ci siamo detti, se veramente la nostra vita sarà, come scriveva Lewis, questa pulsione continua d’amore, di gioia e luce che ci scambieremo perché finalmente vedremo il Padre in Cristo Gesù.

[1] D. Barsotti, San Francesco…, cit., p. 96.

[2] D. Barsotti, Verso la visione, Paccagnella Editore, San Lazzaro di Savena (BO) 1999, p. 99.

[3] Ibid.

[4] Ivi, p. 98.

[5] D. Barsotti, La fuga immobile, 3 gennaio 1945, Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2004, p. 69.

[6] Ibid.