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Adorazione Eucaristica (15°)

tratto dal libro “Adorazione” di P. Serafino Tognetti

continua ….

Capitolo 8

ADORARE DIO CON SAN FRANCESCO

Non si finirà mai di lodare Dio per la sua presenza nell’Eucarestia e per la grazia che ci dà nel poterlo adorare.

Prima di iniziare questo intervento, voglio raccontare quello che mi è successo qualche anno fa, quando sentii parlare delle cappelle di adorazione perpetua del Santissimo Sacramento. Mi trovavo a Perth, in Australia, e una sera fui invitato a cena da una famiglia; mi dissero che era loro ospite il responsabile mondiale delle cappelle dell’adorazione e che era gradita anche la mia presenza. Quando senti dire “responsabile mondiale” di qualcosa, non puoi rifiutare. Mi presentarono dunque padre Martin, un messicano, che mi disse: “Io ho il compito di girare le varie Diocesi e cercare di istituire delle cappelle dove si faccia l’adorazione perpetua del Santissimo Sacramento, 24 ore su 24”. E spiegò: “Io arrivo nelle Diocesi dove vengo invitato, espongo ai Vescovi il progetto, che consiste prima di tutto nel trovare le persone, circa 150-160 persone, per poi organizzare i turni di adorazione in un luogo adatto. Cerchiamo di trovare tali persone, spendo qualche giorno per spiegare le varie cose organizzative, istituisco un segretario coordinatore, che istituisca i turni e si prenda la responsabilità di far sì che quando qualcuno manca, ci sia comunque sempre qualche adoratore presente che possa rimpiazzarlo”. Capii dove sarebbe andato a parare: mi avrebbe chiesto di aiutarlo in Italia a creare qualcuna di queste cappelle. Avete presente il film “Invito a cena con delitto”? In questo caso il delitto sarebbe stato il mio, probabilmente. Comunque la cosa mi interessava e lo lasciai parlare. Alla fine chiesi: “Mi dica un po’, padre, quali sono le nazioni che hanno risposto meglio al suo appello?”. Mi rispose che erano la Corea e gli Stati Uniti. Fui sorpreso. Quando si dice Stati Uniti si pensa sempre alla nazione ricca, più interessata alle realtà economiche che a quelle dello Spirito. Gli domandai poi quali fossero invece quelle che avevano risposto meno. “L’Italia” mi disse immediatamente. Ci rimasi male. Commentò: “Vengo in Italia, ma sono i Vescovi stessi che a volte, quando tento di sollecitarli, mi rispondono che da loro non si

riescono a trovare 160 persone che si impegnino, che non si trovano i luoghi…”. Proseguì dicendo: “Le dico un’altra cosa: negli Stati Uniti, dove sembra che questa iniziativa sia molto sentita, in particolare c’è una piccola Diocesi nel Texas, nella quale il Vescovo, molto attento a questa realtà, ha istituito sette chiese dove c’è l’adorazione eucaristica perpetua”. Sette chiese vuol dire migliaia di persone che pregano e adorano il Signore in continuazione, giorno e notte. Pensando al Texas, a me venivano in mente più che altro i cowboys e gli indiani dei film della mia infanzia. “Ebbene – mi disse concludendo – deve sapere questo: in quella Diocesi, nel giro di un anno e mezzo, le vocazioni nel seminario sono raddoppiate. E pensare che il Rettore del Seminario non aveva fatto neanche un incontro di promozione vocazionale. La gente prega davanti al Santissimo Sacramento e le grazie vengono”. Rimasi tutta la sera pensieroso…

Ancora oggi ricordo quella conversazione. Conclusi che noi cristiani abbiamo poca fede, che dobbiamo credere di più nella potenza della preghiera ed in particolare nell’adorazione eucaristica.

 

La preghiera di san Francesco

Prendiamo ora come maestro di preghiera san Francesco d’Assisi. La preghiera del santo non è quasi mai una preghiera di supplica, di domanda, di riparazione o d’intercessione. Nelle Fonti Francescane ci sono le preghiere scritte da Francesco: sono un’esplosione continua, straordinaria, ricca, esuberante di lode al Padre eterno.

Scrive Divo Barsotti: La vita interiore di Francesco si esprime invece in modo più originale nella preghiera che chiude il Cantico di lode. Egli vive una dipendenza da Dio, umile e piena ed esperimenta Dio come Bene che sommamente gli si dà, si comunica a lui: da questo sentimento del Bene che in lui si travasa e lo colma, nasce il ringraziamento e la lode, per cui il Santo riporta a Dio tutto il Bene che ha ricevuto[1].

Perché la preghiera di Francesco è soprattutto una preghiera di lode? Il motivo è semplice: è la preghiera del Figlio al Padre. Francesco è totalmente identificato al Figlio (e qui parlo del Verbo di Dio, Gesù Cristo) che, possiamo dire, la sua preghiera si identifica alla preghiera stessa di Gesù. Gesù si rivolge al Padre e lo glorifica per quello che Egli è. Conoscete l’espressione che si usa dire del santo di Assisi: “Non era un uomo che pregava, ma un uomo diventato preghiera”. Tu vedi san Francesco e capisci che cosa sia la preghiera. Egli si rivolge quasi sempre al Padre, lodandolo.

Scrive Divo Barsotti: Allora egli sente che Dio solo può ringraziare e lodare convenientemente se stesso (…). Di fatto, come nel Cristo Dio si dona all’uomo, così l’uomo può riportare nel Cristo Dio a Dio stesso e in questo atto di amore è soddisfatta tutta l’esigenza dell’uomo e di Dio. Per questo non vi è in Francesco il sentimento tragico di una impotenza dell’uomo a rispondere a Dio, e la sua preghiera è abitualmente piena di ardore e di gioia[2]. Egli non è l’uomo che si avvicina a Dio osando chiedere qualcosa, dubitando in cuor suo che Dio possa concedergliela; no, la sua è una preghiera che trabocca di ardore e di gioia perché è la preghiera del Figlio. Quando Gesù prega il Padre, nel Vangelo, è sicuro di quello che dice e non dubita. Davanti alla tomba di Lazzaro prega: “Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. Io so che sempre mi ascolti, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato” (Gv 11,42). Appena pregato in questo modo, rivolgendosi alla tomba, gridò: “Lazzaro, vieni fuori!”. Prima ringrazia il Padre, sicuro che quanto dice avverrà, poi compie il miracolo.

 

Nulla più da chiedere…

La preghiera di lode, quindi, è una risposta a quello che Francesco ha ricevuto. La preghiera di Francesco – scrive don Barsotti – è sempre una risposta all’amore, per questo è essenzialmente rendimento di grazie; è una risposta alla rivelazione che Dio gli ha fatto di se stesso, per questo è nella lode riconoscimento delle sue perfezioni divine (…). Il Santo non ha nulla da chiedere, perché sente di aver già ricevuto ogni cosa; egli dona, anzi restituisce quello che gli è stato donato[3].

La preghiera di san Francesco non è la domanda; ha già ricevuto tutto in Dio e quindi non fa altro che ringraziarlo: della creazione, dell’acqua, degli amici, dei fratelli, della malattia, del bene e anche delle umiliazioni. Tutto riceve da Dio. La preghiera in lui non è mai un’iniziativa, ma sempre una risposta.

Per noi è così? Iniziamo a pregare chiedendo cose, oppure le nostre parole sono una risposta di quanto abbiamo ricevuto? Francesco non inizia mai a pregare, ma lascia che la lode si espanda nel suo cuore.

Jean Lafrance in proposito diceva: “Per un cristiano vero, il problema non è iniziare a pregare, ma è smettere di pregare!”. Avete voi questo problema? Magari! Noi piuttosto balbettiamo qualcosa e sovente non sappiamo nemmeno da che parte iniziare, oppure ci lamentiamo col Signore di quello che non ci dà. In Francesco non c’è il “non ho ricevuto questo”: tutto ha ricevuto in Gesù. E si commuove davanti ad un filo d’erba: “Laudato sii mio Signore per sorella erba”. Vede il ruscello dell’acqua ed esclama: “Laudato sii mio Signore per sorella acqua…”. Lode, sempre lode. Io invece vado in montagna, vedo un ruscello d’acqua limpida e pura, e dico: “Mi ci butto dentro perché ho caldo!”. Il primo pensiero va a me e alle mie esigenze, non a Dio. Poi forse alla fine mi ricordo anche di ringraziarlo…

Persino di fronte alla morte Francesco loda. Quando i primi di ottobre del 1226 sentì che la morte si avvicinava, non esclamò: “Ohibò, mi tocca morire…”, ma: “Laudato sii mio Signore, per nostra sorella morte corporale”. Francesco era un irriducibile. Una lode perenne e continua.

 

Una ragazza e il suo prestito

Il problema è che dobbiamo renderci conto meglio di ciò che abbiamo ricevuto. E che cosa abbiamo ricevuto? Certo, le cose: la vita, la famiglia, la casa, l’istruzione, i beni necessari. Ma prima di tutto dobbiamo imparare a ringraziare perché abbiamo ricevuto il Signore Gesù Cristo, il nostro Salvatore. Abbiamo ricevuto la vita eterna! Toglieteci tutto, ma non Gesù. Ne “Il racconto dell’Anticristo”, Soloviev fa dire al personaggio (l’Anticristo) che si rivolge ai pochi cristiani rimasti fedeli: “Vi posso dare tutto. Che cosa volete? Che cosa avete di caro nel cristianesimo? Io ve lo posso dare”. Si alza il papa e dice: “Di caro nel cristianesimo abbiamo Gesù Cristo!”. Afferma così la divinità di Gesù, cosa che invece l’Anticristo non vuole ammettere.

E noi, cosa abbiamo di caro nella Chiesa? Gesù Cristo. Toglieteci tutto, ripetiamo, ma non riuscirete a toglierci Gesù, perché è il dono che il Padre ci ha fatto. Ho ricevuto Gesù Cristo, la salvezza, la luce, l’amore, la vita eterna, cosa voglio di più? Gesù è veramente tutto, tutto ho ricevuto in Lui. E ora nella preghiera gli restituisco tutto.

Quando ero un bambino, nella mia parrocchia di Bologna morì una ragazza di 16 anni di leucemia. Era una brava giovane di parrocchia, si chiamava Laura Romiti. Trovarono nei cassetti le sue poesie e le sue riflessioni e furono pubblicate in ricordo di lei. Tra i suoi scritti, si trova questa frase: “Dicono che la vita sia un dono. Non è vero. La vita è un prestito”. Credo che avesse ragione. Di un dono faccio ciò che voglio; se regalo per esempio un bel libro a suor Antonietta, ella farà di quel libro ciò che vorrà: ora è suo, può leggerlo, metterlo in soffitta o anche gettarlo nella spazzatura. Ma se io ti presto un libro, tu devi tenerlo bene e poi me lo devi restituire. Se poi me lo restituisci incartato bene, abbellito e impreziosito, io ti ringrazierò. Se la vita Dio me la dà come dono, ne farò quello che voglio, posso anche sciuparla totalmente vivendo nel peccato e nel disordine, e posso anche ammazzarmi. Ma se è un prestito, sento che devo restituirla, magari abbellita, quindi ringrazierò Dio di quanto mi ha prestato e cercherò di restituirgli la vita abbellita di tutte le virtù e le opere buone che durante la vita ho potuto fare.

 

La vera lode al Padre è Gesù

Scrive Divo Barsotti: La lode che ogni uomo innalza a Dio, rimane sterile e vuota, se è soltanto riconoscimento verbale e astratto delle perfezioni divine. Una conoscenza puramente concettuale non può essere lode vera, perché Dio non è concetto e astrazione. (…) La lode perfetta di Dio è il suo Verbo[4]. In altre parole: per pregare veramente Dio con la lode, io devo essere Gesù, devo identificarmi con Lui. Ognuno riporta a Dio quello che ha ricevuto da Lui. La lode di san Francesco termina con l’Eucarestia[5]. Quando san Francesco si nutre del Corpo di Cristo esprime al massimo la lode al Padre, gli restituisce Gesù con se stesso. Cioè nel riportare a Dio «tutto il bene, ogni bene, il sommo bene, il Dio uno e vero». (…) In questa offerta Francesco non riporta a Dio se stesso, ma quello che ha ricevuto da Lui, e da Lui ha ricevuto il suo Figlio[6].

Di qui ne viene la meravigliosa preghiera conosciuta con il nome “Le lodi di Dio Altissimo”: “Noi ti lodiamo Dio Altissimo, Tu sei il bene, tutto il bene, il sommo bene, il vero bene. Tu sei carità, amore, Tu sei bellezza, Tu sei perfezione…”. L’uomo qui non chiede niente per sé, non supplica di avere pietà del mondo che va a rotoli, di aiutare i poveri disgraziati che non hanno niente. In Francesco questo non c’è; vi è lode che sale al Padre: “Tu sei perfezione, Tu sei carità, Tu sei pazienza, Tu sei… Tu sei…”.

Se è vero questo, allora per pregare bene la lode, dobbiamo conoscere bene Gesù. Francesco viene chiamato l’innamorato di Cristo, il folle di Dio, perché l’ha incontrato ed è rimasto fulminato dall’esperienza del Cristo risorto. Francesco non è nato santo, da ragazzo qualcosina aveva fatto; non grandi peccati, penso, ma forse un po’ godereccio lo era. Poi l’incontro col Cristo e Francesco diventa quello che diventa: un innamorato del Cristo.

Quest’amore appassionato fu proprio anche dei frati della prima generazione. Si legge nelle Fonti Francescane, dalla Leggenda Perugina: Si domandava la gente: «Ma chi sono questi? Che cosa stanno dicendo?». A quei tempi l’amore di Dio era come spento nei cuori quasi dappertutto, la penitenza era ignorata, anzi la si riteneva un’insensataggine. A tanto erano giunti alla concupiscenza carnale, la bramosia, la ricchezza e l’orgoglio. Tutto il mondo pareva dominato da queste seduzioni. Su questi uomini evangelici [sui frati, nda] correvano perciò opinioni contrastanti. Alcuni li consideravano dei pazzoidi, dei fissati; altri sostenevano che i loro discorsi provenivano dalla demenza. Uno degli uditori osservò: «Questi qui o sono uniti a Dio in modo straordinariamente perfetto o sono dei veri insensati, perché fanno una vita disperata. Non mangiano quasi niente, camminano a piedi nudi, hanno vesti miserabili». Ciononostante, vedendo quel modo di vivere così austero, eppure così lieto, furono tutti presi da trepidazione. Nessuno però osava seguirli. Le ragazze, solo al vederli da lontano, scappavano spaventate, per paura di restare affascinate dalla loro follia[7].

San Francesco faceva paura. Perché? Non aveva nulla, non faceva niente di male. Faceva paura il suo amore per Dio, considerato una follia, e siccome tale amore di Dio era manifesto, le mamme chiudevano a chiave i figli e le figlie in casa per paura che scappassero con lui.

Care mamme, sappiate che sarebbero corsi dietro non a san Francesco, ma al Signore.

 

 

[1] D. Barsotti, San Francesco preghiera vivente, Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2008, p. 80.

[2] Ibid.

[3] Ivi, p.81.

[4] Ivi, pp. 95-96.

[5] Ivi, p. 96.

[6] Ibid.

[7] Fonti Francescane, Leggenda Perugina, Ed. Messaggero, Padova 2000, III ristampa.