OGNI 15 DEL MESE RUBRICA
A Cura Di P. Serafino Tognetti, Comunità Dei Figli Di Dio
Adorazione Eucaristica (9°)
tratto dal libro “Adorazione” di P. Serafino Tognetti
continua……
Capitolo 4
ADORARE DIO NELLA MESSA
Come detto, non possiamo separare l’adorazione eucaristica dalla Messa. È nella santa Messa che si vive la pienezza del Mistero di Dio. Divo Barsotti ha insegnato teologia sacramentaria nella facoltà teologica di Firenze per diversi anni; i suoi studenti raccontano che egli spendeva qualche lezione per parlare del battesimo, alcune per la cresima, mentre quando iniziava a parlare dell’Eucarestia arrivava direttamente alla fine del corso. Verso la fine e prima degli esami alcuni gli obiettavano: “Ma, professore, non sono sette i sacramenti?”. Ed egli rispondeva: “Sì, ma nella Messa c’è tutto!”. Se la cavava con una battuta, come a dire che se capiamo bene l’Eucarestia, capiamo tutto il resto.
Ci sono dei santi che hanno vissuto tutto il loro magistero nella semplice celebrazione del rito eucaristico; potremmo ricordare il santo Curato d’Ars e la Messa di Padre Pio, il quale non faceva mai l’omelia, nemmeno la domenica. Nella Messa egli soffriva la passione di Cristo, realmente faceva fatica a parlare. All’inizio la sua Messa durava parecchio, con tante pause di silenzio che favorivano la muta adorazione. Nell’offertorio egli ricordava in silenzio tutte le persone che voleva raccomandare e poteva stare anche una ventina di minuti fermo come una statua, in raccoglimento. La gente però non brontolava e non guardava l’orologio; al contrario, faceva a gomitate per essere presente a quella Messa, perché avvertiva un uomo che soffriva e che viveva quello che faceva. Ma pensate un po’: in quanto a durata di tempo, c’è qualcuno che batte padre Pio. Stiamo parlando di san Lorenzo da Brindisi, un cappuccino del ’600. In un certo periodo della sua vita, egli per celebrare la Messa
impiegava dalle 10 alle 12 ore. Iniziava la celebrazione alla mattina e la terminava alla sera. E il giorno dopo ricominciava. Ovviamente i superiori lo lasciavano fare e lo esentavano da qualsiasi altro servizio, perché capivano che vi era un carisma particolare… Egli si estraniava; quello che faceva lo viveva nel raccoglimento e nell’adorazione. Non avrebbe potuto stare altrimenti 12 ore all’altare (all’epoca poi il sacerdote che celebrava stava sempre in piedi). Se ci fosse oggi un san Lorenzo da Brindisi in una parrocchia, probabilmente non sarebbe gradito, però l’esempio ci fa capire come per quest’uomo la Messa fosse l’evento centrale della sua giornata, tutta la sua esperienza spirituale e mistica.
Senso di meraviglia e stupore
Se pensiamo a quello che facciamo, tutti dovremmo vivere la santa Messa con questo punto esclamativo.
Scrive Divo Barsotti: “Quando io nella Messa dico: «Padre veramente santo» [le prime parole del Canone eucaristico terzo] dovrei morire all’istante se capissi qualcosa. È che non capisco nulla! È cosa enorme, più grande di quanto si possa immaginare, che noi, povere creature da nulla – ma fosse pure tutta la creazione, tutti gli angeli insieme – proprio noi, entriamo nel movimento di amore eterno, infinito onde il Figlio unigenito si volge al Padre suo”[1]. Per parlare col Padre ed amarlo in una relazione autentica, io devo essere figlio e di figli il Padre ne ha uno solo: Gesù. Ma nella Messa noi riceviamo il Corpo di Cristo, diveniamo una sola cosa con Lui e possiamo quindi accedere al mistero di Dio nella Trinità santissima, parlare al Padre con la bocca di Gesù, amarlo con il suo cuore. “Noi entriamo a far parte di questo mistero. Vi entriamo a motivo dell’Incarnazione del Verbo, vi entriamo per il fatto che il Verbo, incarnandosi, ci ha assunti tutti nell’unità della sua natura umana”[2].
Tutto parte da Dio: Egli prende la natura umana e rende possibile il mio accesso alla natura divina. Certo, rimango uomo, entro nel mistero per fede, accolgo la presenza di Dio in me, ma se non vi fosse stata l’Incarnazione divina questo accesso non sarebbe stato possibile. “Ha fatto di noi tutti il suo stesso corpo e ora tutti ci coinvolge in quell’infinito movimento di amore che lo porta al Padre”[3], dice Divo Barsotti.
Non esiste al mondo un atto che mi unisca di più a Dio che quello dell’Eucarestia. Basti pensare solo all’identificazione verbale che avviene alle parole: “Questo è il mio corpo”. Il sacerdote è un semplice uomo, non è Gesù, non è Dio, ma nell’Eucaristia egli dice proprio: questo è il mio corpo. Dovrebbe dire più propriamente: questo è il corpo di Cristo? No, nel sacramento il sacerdote presta la sua voce e la sua umanità al Signore Gesù, che parla con la voce del suo ministro. Ecco perché, in un certo senso, don Barsotti dice che dovrebbe morire all’istante.
Ebbene, non si muore, ma tale senso di meraviglia andrebbe conservato per tutta la Messa, almeno dal momento della consacrazione in poi. È lo stato del bambino che scopre il mondo. Mi ricordo una volta di quando, da bambino, sollevai una pietra in giardino e vi trovai sotto una specie di formicaio. Rimasi incantato a guardare tutte le formiche che si muovevano e sembrava che ognuna sapesse esattamente dove andare e che cosa fare; vedevo che si organizzavano perché era stato scoperchiato il tetto della casa e, poverette, si erano impaurite. Per me fu uno spettacolo meraviglioso. Sono passati tanti anni, ma quella scena me la ricordo ancora benissimo. Penso che se mi capitasse ora di guardare un formicaio ci spenderei al massimo un paio di minuti… Crescendo, si perde per strada il senso della meraviglia.
Nella Messa avviene qualcosa d’infinitamente importante per me, ed io dovrei cercare di entrare nell’atto di Cristo per poterlo gustare, vivere, parteciparvi. Si esige un grande raccoglimento, una grande attenzione nella fede. Non intendo qui di stati emotivi o sensazioni, che anzi distraggono e non aiutano ad entrare nel mistero: parlo di un senso interiore di silenzio, di accoglienza, di concentrazione e di adorazione, del custodire la meraviglia dell’infanzia per tutta la durata della Messa.
Ho sentito dire che un bambino fa circa 500 sorrisi al giorno, mentre l’adulto ne fa circa 5. Come mai si perdono per strada 495 sorrisi quotidiani? Se voi mi dite: che sono le responsabilità, le fatiche, le preoccupazioni della vita, è sicuramente vero, però nonostante questo siamo anche noi che non vogliamo tornare un po’ bambini prendendo le cose con maggiore spirito religioso. Vedo tanti giovani per la strada; molti di loro con il volto scuro, lo sguardo triste o spento. Mi sento a disagio: perché tanta serietà?
Sorridere non è una cosa banale: è custodire lo spirito dell’infanzia, se è vero che il bambino sorride senza saperne il motivo e l’adulto è sempre serio.
Se lo spirito dell’infanzia è necessario nella vita spirituale, non lo è di meno durante la Messa. Non intendo qui il sorriso delle labbra e del volto, perché non è questo che il Cristo desidera, ma quella meraviglia congenita, di fondo, che ci fa dimenticare tutto il resto (pensate al bambino in giardino davanti alle formiche: tutto il resto era letteralmente sparito) e ci fissa in Cristo per essere figli del Padre e ricevere il suo amore infinito.
Il raccoglimento
Se questo è vero, capite allora che il nemico numero uno del Mistero eucaristico, da parte di coloro che credono e che vanno a Messa, è la dissipazione. Andare alla celebrazione del Mistero avendo in testa mille altri pensieri rende difficile la concentrazione e il raccoglimento. Sarebbe bello staccare la spina prima di entrare in chiesa e riattaccarla dopo, ma se questo non si può fare materialmente, è richiesto un atto di volontà e l’atteggiamento mentale del raccoglimento.
La dissipazione può essere anche del sacerdote, ma tanto più lo può essere per i fedeli. Allora vi do questo semplice suggerimento: partecipa alla Messa col paraocchi dei cavalli, mettendoti possibilmente davanti, in prima fila. Se stai in fondo, vedi tutti quelli che sono davanti a te, ti accorgi subito se uno fa confusione, oppure ti perdi a guardare come è vestito quello, come si muove quell’altro, ecc. Se tieni il paraocchi vedi invece solo un campo ristretto e vedi solo davanti a te. Guardando fisso non t’interessa di chi ti sia davanti o dietro, e se hai la tentazione di guardare dietro – perché questa tentazione viene – ti violenti, ti forzi e stai con lo sguardo fisso sul Cristo, autore e perfezionatore della fede, ossia sull’altare, sul crocifisso.
Se sono dissipato e distratto, la Messa avviene, ma io sono rimasto fuori ed estraneo. L’uso dello sguardo è molto importante fuori dalla chiesa, ma anche dentro. Le cose che mi distraggono in realtà mi uccidono, nel senso che mi tirano fuori (distrarre significa infatti “trarre fuori da”).
Un secondo consiglio che vi posso dare è il corretto uso della fantasia. Se ho molti pensieri e preoccupazioni, e se, mentre il sacerdote all’altare presenta il Corpo di Cristo, io penso che devo restituire mille euro alla finanziaria entro dopodomani, allora devo combattere i pensieri che mi causano preoccupazione con altri pensieri che riguardano la vita di Gesù. Sant’Ignazio di Loyola parla della “composizione delle immagini” come aiuto per la preghiera, ossia il costruirsi le immagini dei luoghi e delle persone, con la fantasia, e fissare l’attenzione a quelle immagini.
Un padre spirituale dei primi secoli diceva: “Il demonio non può nulla sulla volontà, può tutto sulla fantasia”. È vero: se io decido adesso di alzarmi in piedi (atto di volontà), il demonio non mi ferma, e nemmeno Dio, almeno ordinariamente. Se invece dico al mio pensiero di stare fermo su un oggetto qualsiasi, esso non mi obbedisce: dopo un po’ parte e chissà dove va. Questo è il guaio della fantasia. Il demonio lo sa e non combatte direttamente con la mia volontà, perché se io non lo voglio, egli non entra. Altrimenti ci avrebbe già devastato. Egli combatte con il mio pensiero, perché sa che è instabile. Vedete allora come, per farmi fare un peccato con la mia piena volontà, usa la fantasia (pensieri vari, immagini di ogni genere…) affinché la mia volontà si pieghi al male e compia il peccato.
Allora tu combatti il demonio con la stessa arma: quando preghi, usa la fantasia. Immaginati di essere, ad esempio, davanti al presepe, fatti la scena interiore con san Giuseppe, la Madonna, il bue, l’asino e se l’immagine della grotta svanisce e si affaccia quella dell’idraulico che devi chiamare per aggiustare la caldaia, allontana l’uomo della caldaia (non c’entra niente con il presepe) e torna a Betlemme “vedendo” nel tuo cuore i pastori che arrivano, gli angeli che adorano, oppure anche Erode che si organizza per cercare il bambino.
“Entrare” nella Messa
Ciò che vi ho suggerito vale per la preghiera personale. Per la Messa evidentemente è molto utile la fantasia sul Calvario o sullo scenario del Paradiso. Immaginate, alla Messa, tutti gli angeli che cantano… La partecipazione alla Messa, dice Divo Barsotti, è una vera esperienza mistica, perché anche se non sono un mistico e non vado in estasi, io mi “strappo” da me stesso ed entro in un’altra dimensione.
Scrive Divo Barsotti: “Vivere la Messa – aveva ragione san Vincenzo Ferrari – è molto più di qualsiasi contemplazione mistica, molto più di qualsiasi esperienza mistica”[4]. Nessuna esperienza mistica può essere paragonata alla Messa. Egli intendeva dire che i fenomeni straordinari (i rapimenti, l’alzarsi dal suolo, l’avvertire i dolori della Passione, ecc.), sono cose soggettive, che possono servire o anche non servire, mentre la semplice partecipazione al Mistero eucaristico fa entrare nella vita sovrannaturale in modo oggettivo, certo, e questo conta molto di più di qualsiasi altro fenomeno. Quando si meditano certi testi della Messa, si rimane senza fiato. Dio, il Padre, riceve il suo Figlio da me: “Ti offriamo, Padre santo, questa vittima…”.
Ecco il silenzio meditativo, la giusta pausa che sottolinea la solennità dell’evento. Divo Barsotti non aveva la parrocchia, ma viveva in monastero, non guardava l’orologio come se dopo avesse qualcosa di più importante da fare; quando diceva “Padre veramente santo”, all’inizio della preghiera eucaristica, a volte faceva una pausa. Come se volesse sottolineare: “… ho detto Padre veramente santo… sto parlando col Padre!”. Se parlo al Padre, so che Egli mi ascolta. E per realizzare queste poche parole, stava in silenzio. Ecco la mistica oggettiva. Quelli che partecipavano alla Messa obbligatoriamente erano come “spinti e costretti” a vedere il Padre nel proprio cuore grazie al raccoglimento del celebrante. Il silenzio adorante aiuta molto, non v’è dubbio. Ma se io celebro la Messa leggendo i testi a velocità supersonica senza fermarmi un istante, faccio fatica ad entrare nell’atto di morte e resurrezione del Cristo, e anche la gente farà la stessa fatica.
Mi ricordo di quando da ragazzo andavo a Messa a Bologna alle sette di mattina, orario che mi era comodo per le lezioni universitarie. Ebbene, il sacerdote iniziava la Messa dalla sacrestia. Si sentiva una voce lontana che diceva: “Nel nome del Padre…”, appoggiava i vasi sacri sull’altare dicendo il “Signore pietà”, e quando arrivava alla sede si era quasi alla prima lettura. Un minuto e quaranta secondi, cronometrato! Quanti sforzi in più per entrare nel Mistero! Forse quel sacerdote avrebbe fatto bene a passare una settimana in compagnia di san Lorenzo da Brindisi.
Nella Messa mi unisco a Gesù, ma l’unione col Verbo non finisce lì: siccome Egli è Figlio, il Verbo mi proietta verso il Padre, perché il Figlio è sempre in faccia al Padre. Quindi io, come anima-sposa del Cristo, completo l’opera di Dio offrendo al Padre il Figlio. Io sono nel Figlio, offro me stesso e ascendo al Padre col Figlio.
Scrive il nostro autore: “Il Padre non può essere senza il Figlio e il Padre riceve il Figlio da me, dalle mie mani!”[5]. Vedete il punto esclamativo. È importante perché esprime lo stupore; il Padre riceve il Figlio, ma adesso dalle mie mani! È un fatto: se io non celebro la Messa adesso, il Padre non riceve il Figlio, ossia l’atto d’amore non avviene. Ovviamente questo è un atto eterno, per cui oggettivamente tale atto è, ed è sempre presente, ma non avviene per me: io rimango fuori ed estraneo all’atto di unione del Figlio col Padre.
In Cristo
Diceva padre Pio: “Se per un giorno soltanto si smettesse di celebrare la Messa su tutta la terra, crollerebbe il sole”. Scrive ancora don Divo Barsotti: “Certo che me lo dà per riceverlo, perché il Padre non può mai essere separato dal Figlio suo, però lo riceve da me. Me lo dà realmente in tal modo che da me deve riceverlo: Offerimus! Ma ci rendiamo conto? Dio non è Dio senza di me!”[6]. È un’espressione paradossale, questa, che ricorda il linguaggio di Elkhart o di altri mistici medioevali. Dio vive nella sua assoluta trascendenza; cosa sei tu per dire “Dio senza di me non sarebbe”? Ovviamente la cosa va intesa bene: diciamo allora che Dio ha voluto così, ossia che nella Messa Dio Padre riceve il Figlio, ma non il Verbo di Dio incarnato da solo: ora riceve il Figlio Capo della Chiesa, suo mistico Corpo, e nella Chiesa ci sono anch’io. “Dio ha voluto in tal modo unirmi alla sua intima vita che in qualche misura senza di me Egli non è”[7]. Questa è l’opera di Dio.
Nella religione islamica tale espressione sarebbe senza senso, perché Allah non ha rapporti con l’uomo, non lo conosce. Il musulmano adora quello che loro dicono essere dio, ma Allah non se ne accorge nemmeno, perché non ci può essere relazione tra la trascendenza divina e la contingenza umana. E poi, non essendo incarnato, come può Dio in quella religione realizzare la comunione? Nella realtà cristiana – che è l’unica vera – non vi è Dio che dà il Figlio al mondo duemila anni fa a Betlemme, che ascende al cielo e sparisce per sempre. No, tutti i giorni scende e viene a me. E sono io che nella Messa lo offro al Padre in quanto Capo del Corpo.
Spiega ancora Barsotti: “Queste parole sembrano bestemmie, ma le hanno dette dei mistici. Non so se conoscete il Silesio, il grande mistico tedesco del secolo XVII. Lui dice precisamente questo: «Senza di me Egli non è». Certo, sarebbe lo stesso, ma ha voluto in tal modo amarmi, in tal modo ha voluto legarmi alla sua intima vita che da me Egli riceve Se stesso”[8]. Tutto questo non è un asettico avvenimento meccanico, ma un atto d’amore. Dio non fa questo perché deve farlo, come una fabbrica che produce automobili perché è scritto nel programma. È un atto d’amore che si rinnova continuamente: ti amo così tanto che voglio ricevermi da te uomo. Per analogia, avviene come l’unione dell’uomo con la donna nel matrimonio: uno si dona totalmente, ma anche riceve l’altro. Non è un atto egoistico singolo in cui do qualcosa di me. Io ti do tutto; nel matrimonio, lo sposo vero dà tutto: le fatiche, il lavoro, il corpo medesimo e la sposa fa la stessa cosa, non riserva nulla per sé. Ma questa è solo una pallida immagine dell’unione con Dio.
Ecco la differenza fra la mistica e la vita morale; la vita morale è l’obbedienza ad una legge: obbedisco e sono a posto con Dio. No, Dio vuole molto di più, vuole me stesso in Cristo Gesù. Perché “me stesso” da solo sarebbe un nulla. In Cristo Gesù invece è tutto, perché in Lui io sono giustificato dal suo Sangue. Capite la bellezza del cristianesimo? Le altre religioni non accettano che ci sia un uomo “dentro” Dio, perché significherebbe sporcare il concetto stesso di Dio, l’Assoluto, il Purissimo, il Trascendente. Dio invece ha voluto farsi uomo.
Mistero nuziale
Fermiamoci a contemplare questa realtà: io sono in Dio ed Egli mi fa partecipe delle sue prerogative divine: l’infinità, l’onnipotenza, la bellezza, l’amore, ecc. Diceva la beata Maria dell’Incarnazione, una mistica canadese del ’700: “Io sento di creare il mondo con Dio”. Vorrei sapere se tu senti la stessa cosa. Dio crea il mondo con un atto della volontà: fiat lux! La santa afferma che anche lei partecipa di quest’atto divino, se è in Cristo. È per questo che nella Lettera agli Ebrei si dice che l’uomo è superiore agli angeli. È inferiore in quanto natura, ma in quanto unito a Dio è superiore. Nella Santissima Trinità io do Dio-Figlio al Padre e quindi sono pieno di Spirito Santo, anche se non lo avverto. Se poi Dio vuol farmi sentire delle emozioni, faccia pure, ma le emozioni sono sempre al di sotto della realtà. Anche quelli che svengono o piangono, non aggiungono nulla alla realtà che si vive. I sentimenti umani vanno e vengono…
Ecco cosa vuol dire adorare e stare concentrati: quanto ho detto avviene, io devo farne esperienza non sul piano emotivo, ma su quello della fede: l’esperienza di essere afferrato da Cristo, di offrire Gesù al Padre, entrando nella Santissima Trinità. È un atto passivo: devo solo adorare, stare lì in silenzio, credere che questo avvenga. E più vai avanti, più il Signore stesso te lo farà intendere e capire.
“La Messa mi trascende infinitamente. Io nemmeno capisco qualcosa”, scrive Divo Barsotti. Questo ci consola… “Ma se la vivessi anche un poco, sarebbe già l’andare oltre ogni esperienza mistica, perché nella Messa non solo si dà Dio a Dio in Dio, ma in tal modo si dà che, senza di me, Dio non sarebbe! Togliete una Persona divina alla Trinità e la Trinità stessa non esiste più. E il Padre mi dona il Figlio e me lo dona così realmente che da me ora deve riceverlo”[9]. So che questo avviene, ma lo capisco fino a un certo punto. Prendiamo un aiuto dalla spiritualità nuziale: si dice che le suore siano “le spose del Signore Gesù”; esse possono meglio comprendere degli uomini che cosa questo significhi. Pure io dovrei vivere l’unione nuziale col Cristo, anche se per la psicologia maschile questo termine è meno congeniale. Un uomo può essere l’amico di Gesù, servo del Signore, soldato di Cristo, può farsi ammazzare per Dio, ma difficilmente si sentirà “lo sposo” del Verbo. La donna invece lo sente, perché la sua natura la porta alla coniugalità.
Secondo don Divo la Vergine Maria è madre di Dio, ma è la prima reale sposa del Verbo. Può sembrare una forzatura: come può una madre essere al tempo stesso sposa? Qui evidentemente entriamo in un piano spirituale e mistico. Che Maria santissima sia madre non v’è dubbio. La Madonna viene chiamata Sposa dello Spirito Santo, ma secondo padre Barsotti sarebbe più giusto capire come Ella realizzi piuttosto la vera sponsalità col Verbo dalle parole che lo stesso Gesù usa nel Vangelo quando la chiama per due volte “donna”, alle nozze di Cana e sulla croce. Nessuno chiama “donna” la propria madre. Se incontro un uomo che mi dice: “La mia donna sta parcheggiando la macchina, ma arriva subito”, che cosa capisco io? Che è in attesa della propria madre, o della propria figlia? No; anche se può essere un linguaggio arcaico, capisco che si riferisce alla propria sposa. Dunque, quando Gesù si rivolge a Maria dicendo: “Che c’è tra me e te, donna?” (Gv 2,4) e “Donna, ecco tuo figlio” (Gv 19,26), sta parlando alla Sposa.
Don Divo ci ricorda che, quello che dice la Sacra Scrittura a proposito del matrimonio, non si realizza assolutamente nel matrimonio umano. È soltanto un desidero. Anche sposandoci, non diventiamo un solo corpo e tantomeno un solo spirito con la sposa o con lo sposo. “È l’intimità più profonda che si dovrebbe realizzare nel matrimonio. Ma se nel matrimonio umano questa intimità non si realizza, perché in fondo è legata al corpo e il corpo implica sempre opacità, nel matrimonio spirituale l’intimità è assoluta. Cristo è tutto in me e io sono tutto in Lui. (…) Veramente nel matrimonio spirituale si realizza quello che il matrimonio umano non realizza anche se lo promette: un solo corpo e un solo spirito. (…) Ecco la santità cristiana! Ed è la santità di Maria”[10].
Questa unità si realizza soltanto nell’unione nuziale con il Cristo. Nell’unione nuziale, Cristo e Maria sono un solo corpo. Il Cristo riceve da Maria il suo corpo e dona a Lei il suo Spirito. Abbiamo dunque un’espressione piuttosto ardita: un solo corpo e un solo spirito. La Madonna è l’unica persona che accoglie pienamente il Cristo in sé perché non ha peccato essendo immacolata. Quindi quando il Cristo si dona pienamente, è ricevuto altrettanto pienamente solo dalla Madonna.
Diceva san Pier Damiani che Ella è come un bacino vuoto di un lago; Cristo, nella sua grazia santificante, si riversa pienamente nel bacino vuoto e il lago si riempie. Ma mentre per l’uomo il bacino è screpolato (a causa dei peccati) e l’acqua inevitabilmente pian piano se ne va, la Madonna invece conserva perfettamente intatta la grazia perché non ha nessun peccato, né al momento del concepimento, né nella vita, né adesso.
Possiamo dire che la Madonna è il successo, la vittoria di Gesù, in quanto si dona. Ma questo rapporto non è figlio-madre, ma è rapporto sposo-sposa. Simbolicamente, se vogliamo, la Madonna è sposa del Verbo in quanto l’accoglie totalmente. Ed ecco perché, quando mi rivolgo alla Madonna, Ella mi dà quello che ha ricevuto: il suo Figlio. Ma ce l’ha totalmente! Il santo, anche san Francesco d’Assisi, l’avrà per nove decimi, io per un decimo, ma se io trattenessi tutta la grazia di Dio, chissà cosa sarei. Dobbiamo allora ricevere la grazia di Dio e mantenerla il più possibile in quanto anime spose del Verbo. Realizzare con la Vergine Maria, insieme con lei, la sua divina sponsalità, non solo la divina maternità… Questo è l’effetto straordinario della santa Comunione.
L’unione fraterna
Ma non è finita. L’unione nuziale ci fa anche figli del Padre, perché quando ricevo Gesù pienamente, Gesù mi dà di essere figlio. Essere uno con tutti si può realizzare precisamente nel fatto che ciascuna persona è puro rapporto nei riguardi dell’altro. Questa infatti è l’unità di Dio, unità che non precede le persone divine, né le segue, ma si realizza nella Trinità delle persone in quanto sono persone, in quanto cioè sono puro rapporto di amore per il quale il Padre è totalmente nel Figlio, il Figlio è totalmente nel Padre nell’unità dello Spirito. Così io sono totalmente negli altri e gli altri sono totalmente in me. Questa è l’unità. Io non mi trovo in me stesso, ma negli altri. Gli altri non si trovano in se stessi, ma in me. L’amore fraterno deriva dalla mia comunione, dal momento che mi sono unito al Cristo e in Cristo c’è l’umanità intera, salvata e anche peccatrice, in Cristo trovo l’unità in tutti.
La mia unità col mondo, con gli altri, non la realizzo con uno sforzo sovrumano, ma facendo la santa Comunione. Una volta fatta la Comunione il mio rapporto con il vicino di banco altro non sarà che l’esplicitazione di questa unità avvenuta: io sono te e tu sei me, perché abbiamo fatto la stessa Comunione. Io adesso ho ricevuto il Corpo di Cristo e anche tu. Il mio Cristo, che è in me, si riconosce nel tuo Cristo, per cui si attirano. Gesù è uno e le persone che sono in Cristo devono attirarsi l’un l’altra. Quale festa dovrebbero vivere i cristiani che fanno la Comunione! Alla fine della Messa, i fedeli dovrebbero abbracciarsi gioiosi, invece di uscire di chiesa e parlare male l’uno dell’altro, oppure di andarsene ciascuno per gli affari suoi.
“Dividersi da un uomo è dividersi da Cristo”, ripeteva sovente il nostro autore. Dividersi da un uomo, peccatore quanto volete, è dividersi da Gesù. Ecco perché si legge nel Vangelo: “non giudicate”. Io non posso dividermi da Gesù. Addirittura io trovo me in voi, non in me, perché io sono te e tu sei me. Io mi realizzo nell’amore fraterno, perché questa carità mi realizza come uomo. “C’è più gioia nel dare che nel ricevere”, è scritto negli Atti degli Apostoli (20,35). Dunque, rimane vero quanto afferma l’apostolo Giovanni: “Io non posso dire di amare Dio che non vedo, se non amo il fratello che vedo” (1Gv 4,20).
Lo spirito di servizio segue e continua la mia Messa; ho ricevuto Gesù e vengo spinto a servire il mio fratello.
Al centro di tutto
In un monastero che frequentavo girava questa battuta: sapete perché i trappisti durante il pranzo e la cena ascoltano le letture e stanno in silenzio? Perché se parlassero si divorerebbero a vicenda. Naturalmente non è vero, ma può darsi che la conversazione a tavola non sia buona: non che ci si offenda, ma si cade facilmente nei discorsi che non edificano la comunione fraterna. Si è appena fatta magari la Comunione eucaristica e succede che subito dopo si tirino “frecciatine” al fratello o si sparli di qualcun altro… L’amore fraterno invece ha proprio il suo fondamento nell’Eucarestia.
Se vi è decadenza nella frequentazione e partecipazione alla Messa, tutto si raffredda. Conosco dei parroci che non celebrano più la Messa se non alla domenica. Essi dicono: a che cosa serve? Se vengo preso da questo spirito, è la fine. La Messa diventa solo un servizio da garantire, quindi il minimo indispensabile, e per il resto ci sono tante cose più importanti da fare. La Messa non è più vista come il fondamento di tutto.
In una comunità monastica ecumenica di mia conoscenza l’Eucaristia viene celebrata due giorni alla settimana, giovedì e domenica. E mi immagino allora un padre Pio senza la celebrazione quotidiana! Egli viveva per quel momento, ardente di desiderio. Era un uomo venuto al mondo quasi solo per vivere tale Passione. E come la viveva! Che esperienza sconvolgente era per tanti fedeli che correvano a San Giovanni Rotondo! Egli iniziava a prepararsi in cella, verso mezzanotte, e quando scendeva alla mattina in sacrestia emanava un senso di sacralità spaventoso. Si stava preparando per il Sacrificio e per dare Dio a Dio. Veramente io non capisco nemmeno i protestanti: Martin Lutero, nelle sue riflessioni, distrugge letteralmente la Messa. Era un monaco agostiniano, poi giunse a dire che è meglio commettere un omicidio piuttosto che andare alla Messa. Ancora oggi i protestanti, se fanno qualcosa che assomiglia alla Messa, celebrano semplicemente un ricordo: non vi è Sacrificio di Cristo, non vi è Mistero. Eppure Gesù ha detto: “Il mio corpo è vero cibo, il mio sangue è vera bevanda” (Gv 6,55).
Tutto questo turbò un pastore protestante americano, che poi si convertì al cattolicesimo (Scott Hahn, “Roma dolce casa” ed. Ares): insegnando ai suoi la dottrina luterana era furibondo contro Roma e la Chiesa. Poi cominciò a pensare: “Possibile che Lutero avesse ragione, mentre per i 1500 anni precedenti tutti si erano tutti sbagliati?”. Non confidava ad alcuno questi suoi dubbi, ed una volta entrò in una chiesa cattolica durante una Messa. Si mise in fondo, seminascosto per non farsi vedere. Scrive: “Quando il sacerdote fece l’elevazione della Particola sentii dentro un tale desiderio di unirmi al Signore che capii che lì c’era la Verità”. Allora iniziò il percorso di ritorno, e di qui il titolo del libro: “Roma dolce casa”. Quando finalmente chiese ufficialmente di entrare nella Chiesa cattolica, la prima impressione che ebbe fu quella di essere tornato nell’ovile. Ed è l’ovile di Cristo, che dà il suo Corpo. La differenza sostanziale fra protestantesimo e cattolicesimo è qui, e se parlo con loro, cerco di far venire loro la nostalgia del corpo di Cristo, di questo travaso di Dio in noi.
La “terribile” fame
“L’atto della Messa è l’atto supremo della Chiesa”[11]. Si compie per tutta la Chiesa quello che san Giovanni della Croce disse essere il termine ultimo nella vita di grazia: dare a Dio in Dio. Nemmeno il mistico è tanto sicuro di riportare Dio a Dio come lo è invece il sacerdote che celebra. Come è sicura tutta la Chiesa che il Padre riceve il suo Figlio nello Spirito Santo e lo Spirito Santo riporta il Figlio al Padre. Tutta la creazione, per il mistero dell’incarnazione, è coinvolta in questo movimento.
Vi una “fame” di Dio che si rende presente durante la Messa. Scrive il nostro autore: “Non l’uomo soltanto ha fame di Dio, è Dio stesso che ha fame ed è l’uomo che può rispondere alla sua fame. Da te Egli aspetta e ti chiede sé medesimo, come senza di te non fosse, come fossi tu a dargli essere e vita. La fame dell’uomo (…) ha sempre una misura. Può essere violenta, terribile; ma più terribile è la fame di Dio, non ha misura, non ha fine. La possiamo riconoscere nella vita dei santi. L’uomo vive l’impossibile martirio di dover rispondere a una esigenza infinita”[12].
Noi abbiamo fame di Dio nel senso che l’uomo – lo afferma anche la filosofia antica – ha sete d’infinito, sente che questa povera vita non è sufficiente a soddisfarlo, ha sete di spazi d’infinito. Noi però di solito pensiamo solo a questa tensione dell’uomo, non a quella di Dio, che invece immaginiamo impassibile, fermo. Invece no: Egli tende a me, in un certo senso “mi vuole mangiare”. Io mangio il corpo di Cristo non per fame biologica, ovviamente, ma perché Egli mi assuma. Ma realizzo poco il fatto che Egli mi desideri più di quanto io desideri Lui. Io mi sforzo, e dico: “Signore prendi il mio corpo, la mia anima, tutto me stesso. Non voglio avere più un pensiero mio, un’azione mia. Tu devi vivere in me. Mi do in pasto a Te”. Apriamo la bocca e ci riempiamo di Dio, ma provate ad immaginare dall’altra parte il desiderio di Dio di fare la stessa cosa, ossia di donarsi a noi interamente. I santi conoscevano la terribile fame di Dio. “Dio è infinitamente avido”, scrive il beato Joann Ruysbroeck. Commenta Barsotti: “Dio (…) si dona senza misura, non è che dono di sé, ma insieme Egli vuole sé, non può volere che sé. Se vi è una volontà di Dio riguardo alla creatura, Egli dalla creatura pretende Se stesso infinito. La vita dell’universo si consuma nel sacrificio eucaristico perché il sacrificio eucaristico è la vita stessa di Dio”[13].
Dio è “avido” nel senso che non si accontenta mai, come il fuoco che non dice mai basta.
Ecco perché la vita cristiana è una vita pericolosa. Volevo scrivere una lettera a Vasco Rossi, famoso cantante; uno che ai concerti riesce ad avere davanti 200.000 giovani non può essere uno qualunque… In un certo senso lo ammiro. Pensavo di chiedergli di entrare come aspirante nella nostra Comunità… Provate ad immaginare se alla fine di un concerto davanti alla marea sterminata di giovani egli un giorno dovesse dichiarare: “Sono figlio di Dio, credo in Dio Padre onnipotente e amo il Signore Gesù Cristo, ragione e fine della mia vita”. Sarebbe un colpo straordinario. Ebbene, siccome Vasco Rossi ha scritto la canzone dal titolo “Vita spericolata”, volevo scrivergli: “Vasco, vuoi una vita davvero spericolata? Fatti cristiano!”. La vera vita spericolata non consiste nel bere whisky, nell’avere un’esistenza trasgressiva, una macchina sportiva, tante ragazze… queste in fondo sono le solite cose, espressione di una vita borghese, banale, da nulla. Prova a farti cristiano, guarda la bocca di Dio che ti vuol mangiare e vedrai come la vita ti apparirà veramente spericolata. Scapperai, probabilmente, come fece Giona, a cui Dio chiese di andare a destra ed egli andò a sinistra. Aveva visto la bocca di Dio? Forse sì. I santi invece hanno coraggio, si buttano e dicono: “Signore mangiami, distruggimi, divorami, fammi tuo, scindimi perché io non mi sopporto. In me stesso non riesco a stare, ma in Te sì”.
Abbiamo terminato citando Vasco Rossi, dopo i grandi mistici e santi. Nulla va perduto, nulla va dimenticato. La nostra missione, con ogni mezzo, è quella di portare gli uomini a Dio: “Affinché conoscano te, Padre, e colui che hai mandato, Gesù Cristo nostro Signore” (Gv 17,3).
[1] D. Barsotti, Spiritualità carmelitana e sacramenti – Via di crescita nello Spirito, Ed. Città Nuova, Roma 1984, p. 146.
[2] Ibid.
[3] Ibid.
[4] Ivi, p. 147.
[5] Ibid.
[6] Ibid.
[7] Ibid.
[8] Ibid.
[9] Ivi, p. 148.
[10] Ivi, pp. 176-177
[11] D. Barsotti, La Parola si è fatta carne, Centro Editoriale Cattolico Carroccio, Vigodarzere (PD) 1993, p. 154.
[12] D. Barsotti, La vita in …, cit., pp. 180-181.
[13] Ivi, p.182.