OGNI 1 DEL MESE:
RUBRICA A Cura Di Don Riccardo Pane,
Diocesi Di Bologna,
Accademia Ambrosiana
DALL’ EUCARISTIA CELEBRATA ALL’EUCARISTIA ADORATA (4°)
La Messa è l’opera di Cristo; è sacramento della salvezza, cioè è partecipazione all’opera salvifica di Cristo. Come posso pensare di parteciparvi quando capita, quando arrivo, arrivo? Che rabbia quando vedo le persone arrivare tardi a Messa! Sì, entrano in chiesa, ma non entrano veramente nella Messa, perché è un Mistero grande, nel quale si entra solo in punta di piedi, dall’inizio alla fine, non trafelati e distratti! Ci si entra tutti insieme come corpo ecclesiale celebrante, in silenzio e raccoglimento, non dispensando saluti agli amici e cercandoli tra le panche. Ci si entra nella penitenza e nella contrizione. È così facile biascicare un “Signore pietà” e darsi dei colpetti sul petto! Se in quel momento mi presentassi al cospetto di Dio, mi batterei il petto con altrettanta indifferenza, o trepidante e tremante piegherei il capo come Mosè sul monte davanti alla sua tremenda Maestà? Ma sono due cose diverse, direte. Non molto. In tante chiese barocche la volta della cupola è dipinta secondo la tecnica del trompe l’oeil: sembra come aperta, e sopra si vede il cielo, gli angeli, i
santi, il paradiso. Ebbene, non è un estro artistico: è la nuda e pura verità di quello che succede nella Messa. La Messa è un recinto sacro dove cielo e terra si toccano; entrando in esso io esco dallo spazio e dal tempo ed entro al cospetto della liturgia celeste, la vera liturgia, che si celebra incessantemente in cielo. L’altare terreno su cui sono offerte le sacre Specie è in collegamento diretto con l’altare del cielo, in cui è offerto l’Agnello immolato e vittorioso. Lo esprime con mirabili parole il Canone romano: “Fa’ che questa offerta, per le mani del tuo angelo santo, sia portata sull’altare del cielo, davanti alla tua Maestà divina, perché su tutti noi che partecipiamo di questo altare (terreno), comunicando al Corpo e Sangue del tuo Figlio, scenda la pienezza di ogni grazia e benedizione del cielo”.
Ecco, se dovessi scegliere poche parole per spiegare cos’è la Messa, sceglierei proprio queste. In esse c’è tutto. Se capiamo questa verità, abbiamo capito la Messa (per quel che possiamo, noi poveri pellegrini sulla terra) e non vi parteciperemo più come prima. Nella Messa io non sono più in un luogo o in un tempo, ma sono al cospetto dell’Altissimo. Ahimè, le nostre Messe ci aiutano a comprendere questo Mistero, o sono così terribilmente terre à terre, chiassose e caciarone, da tenerci saldamente ancorati alla nostra dimensione terrena, oscurando con una spessa cortina la volta della cupola? Confesso di aver cominciato a comprendere davvero il Mistero della Messa partecipando alle liturgie dei riti orientali, dove tutto orienta alla trascendenza di Dio, al senso della sua presenza, alle realtà celesti. Sì, perché se da un lato è evidente che il Mistero di Dio si compie comunque, anche in una Messa trasandata e chiassosa, umana, troppo umana, è altrettanto evidente che abbiamo bisogno di essere aiutati, condotti per mano dai segni liturgici, dai canti, dall’incenso, dai paramenti, dal silenzio profondo, dalla postura del corpo, verso un Mistero che sfugge ai nostri sensi umani ed è così difficile da cogliere. Questo sguardo spirituale, che mi fa cogliere le realtà di Dio presenti nella liturgia, non è naturale, richiede un allenamento, e mi chiedo se le nostre Messe siano davvero delle buone palestre, dotate degli attrezzi giusti per rafforzare e rassodare i muscoli spirituali, o siano piuttosto dei salotti, su cui stravaccarsi, come al cinema? Vedo gente con le gambe accavallate, persino il prete che celebra! Un salotto!
Dobbiamo davvero rivedere il nostro modo di stare a Messa, per noi stessi, perché abbiamo bisogno di educarci al Mistero, e per gli altri, per essere di edificazione. Non sempre è facile riuscirci, perché non dipende solo da noi, ma ognuno nel suo piccolo può influenzare la propria comunità e creare pian piano un diverso stile e un nuovo approccio alla Messa, che non sia solo inesorabilmente orizzontale, assembleare, ma anagogico, cioè capace di condurre in alto lo sguardo del cuore, verso quella volta spalancata sul Paradiso. Anagogia (“condurre in alto”) è il termine che dovrebbe riassumere la liturgia. La liturgia dovrebbe prenderci per mano e accompagnarci verso le realtà del cielo. Ognuno faccia il proprio esame di coscienza…