OGNI 15 DEL MESE RUBRICA
A Cura Di P. Serafino Tognetti, Comunità Dei Figli Di Dio
Adorazione Eucaristica (18°)
tratto dal libro “Adorazione” di P Serafino Tognetti
continua …
Adorazione come sguardo
Quando noi facciamo l’adorazione davanti al Santissimo, siamo come davanti ad un sole che si irradia; non siamo lì per dirgli i nostri bisogni (li sa già), non siamo lì per ricordare al Signore di essere buono (lo è già perché è la pietà infinita), non siamo lì per ottenere un intervento (è Lui l’intervento). Certo, il Signore dice “bussate e vi sarà aperto” (Mt 7,7), ma per prima cosa andiamo a Lui per sottometterci al suo sguardo. L’adorazione è fare spazio per riceverlo. Addirittura, secondo san Giovanni della Croce, Dio crea guardando. Io mi sottopongo al suo sguardo ed Egli
guardandomi mi crea. In che senso? Guardandomi porta la sua presenza in me.
Tra noi uomini non esiste solo la comunicazione verbale, ma anche quella visiva. Lo sguardo tende ad entrare dentro la persona, in un certo senso a possederla.
Mi piacerebbe fare una prova: mettere due persone di fronte a guardarsi fissi negli occhi e vedere quanto tempo resistono; dopo un po’, forse qualche istante soltanto, uno dei due non resisterà e
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dovrà abbassare o spostare lo sguardo. Se invece chiedo alle stesse persone di
parlarsi, possono andare avanti anche tre ore consecutive. Lo sguardo nel silenzio è penetrante e probabilmente san Giovanni della Croce non aveva tutti i torti. Quando ci si ama molto, ci si guarda, si riesce a reggere lo sguardo perché lo sguardo è l’entrare nell’altro.
Quando sono davanti al Santissimo, non vedo gli occhi di Gesù, ma so che c’è: finalmente mi metto davanti a Lui perché durante il giorno non lo guardo mai, lo sfuggo, mi distraggo, ma quando mi “sottopongo” a Lui, basta che mi lasci guardare, ed io sono ricreato.
L’adorazione è una via privilegiata. Gesù ci chiama a questa unione con Lui perché ha fretta, ci vuole santi ora, per la gloria sua e per il bene dei fratelli. I santi sono coloro che hanno ceduto a questa impazienza divina, e lungo il cammino della vita si sono fatti guardare, divorare, per divenire sempre più “pieni” di Dio. Poi, quando sono stati maturi per il Cielo, sono morti.
Caratteristiche dell’uomo nuovo
L’uomo eucaristico è un uomo che ama. Gesù condivide con l’uomo le sue cose più preziose: la morte e la nascita, la morte e la vita. Nell’ultima cena, Gesù ci dice che non ci chiama più servi, ma amici (cfr. Gv 15,15) e l’amico è colui al quale noi facciamo confidenze, diciamo le nostre cose più intime. In effetti di amici ne abbiamo pochi ed è giusto così. Le mie cose private non le vado a dire
a tutti. Quando confido una cosa molto personale a qualcuno, creo subito confidenza. Gesù ha fatto questo con me, dicendo: “Tutto quello che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi” (Gv 15,15). Gesù mi vuole amico. Quando sono alla Messa, quando sono immerso nell’adorazione, c’è un appello a questa amicizia, a questa intimità. Ebbene, l’uomo eucaristico, quando ha ricevuto il Corpo di Cristo, diventa uno che ama, che comunica con il suo prossimo le sue cose più preziose,
iniziando da quelli che sono con lui alla Messa.
Dice san Paolo nella lettera ai Galati: “Operiamo il bene verso tutti, soprattutto verso i fratelli nella fede” (Gal 6,10). Questo non vuol dire che quelli che non hanno fede non li amiamo, ma se l’apostolo afferma “soprattutto verso i fratelli nella fede”, significa che ci viene chiesto di realizzare lì, proprio perché abbiamo ricevuto lo stesso Corpo, una comunione tra noi che sia una confidenza, un servizio, un lavarsi i piedi. È triste nelle nostre assemblee vedere uno davanti, uno in mezzo e
uno dietro; eppure fanno la stessa Comunione, si nutrono dello stesso Corpo, ma non si crea niente… Ognuno torna a casa propria e si rimane degli estranei. Verrebbe voglia invece di prendere il nostro vicino, abbracciarlo e dirgli: “Tu sei mio fratello, abbiamo mangiato lo stesso Corpo, siamo diventati amici della stessa persona”. Quando due sconosciuti in treno s’incontrano, cominciano a parlare e scoprono di avere un amico in comune, diventano subito amici tra di loro; al momento l’amico comune è l’unico argomento che hanno, ma si crea comunione. L’aver mangiato
lo stesso pane dovrebbe creare in noi un grande senso di desiderio di unità. Mangiare lo stesso Corpo ci fa un corpo solo.
continua…..